| Si infila i guanti, inizia un nuovo giorno.
Indossa la tunica, inizia un nuovo giro.
Stringe i lacci della maschera, inizia un nuovo incubo.
Prima di uscire saluta la sua cara vecchia madre, non sa se la rivedrà. Col bastone di noce in mano esce dalla casa e chiude la porta di legno dietro di se. L'aria è pesante, calda...malsana.
E’ l'anno 1349 e la peste aveva raggiunto la sua massima virulenza.
Il suo nome? Che importanza ha? Lui è il dottore! O è forse solo uno sciocco becchino che con occhio esperto valuta il tempo che a una persona resta da vivere?
Ecco la prima casa. Entra. Ad aspettarlo trova una signora di mezza età. "Buon giorno, signora.” esordisce il nostro cupo eroe. La vecchia sobbalza, non si era accorta del suo arrivo. Lo stupore lascia poi il posto alla rabbia. cosa ci fa lì quel corvo dal volto bianco? Se non può curare suo figlio che utilità ha quello sconosciuto che si fregia di una conoscenza assai ampia sui corpi in decomposizioni? Alla morte non importa quanto tu sia ricco, bello, intelligente, giovane...per lei sei solo una spiga in più per la sua falce.
La vecchia lo caccia, il giro ricomincia.
La seconda fattoria non è migliore: anche qui la peste è arrivata prima di lui. Una madre, lunghi capelli neri, un vestito semplice dello stesso colore delle nuvole in tempesta, il volto deturpato dall'orrore nero. Qualcosa si muove tra le sue braccia ormai fredde...una bambina...
Il dottore la prende tra le mani, è viva. Ad una seconda osservazione risulta però evidente che la piccola è infetta. Morirà a breve, straziata dalle sofferenze tipiche della peste o verrà mangiata da qualche lupo affamato
La poggia a terra, alza il bastone, chiude gli occhi...un tonfo sordo rompe il silenzio.
Il dottore ricomincia il suo giro, dietro di se il dolore, davanti la morte.
Sta camminando per un sentiero deserto quando la vede. Davanti a lui. Una figura incappucciata aspetta sul ciglio della strada stringendo una grossa falce con le dita ossute.
Il dottore sospira –Fammi indovinare, hai già visitato il prossimo villaggio...-
La figura si avvicina al dottore e inizia a camminare al suo fianco.
-Sai che significa vedere la gente morire? Capire che ormai per loro è tardi e ciò nonostante mentire spudoratamente ai familiari per dar loro conforto? E’ orribile! Io vorrei poterli aiutare, ma non posso far nulla! Perché lo fai, dimmelo!-
La figura incappucciata gira lentamente la testa verso il dottore. La sua voce è roca, innaturale.
-E’ il mio lavoro.-
Il dottore non riesci più a trattenersi, urla.
-Il tuo lavoro!? Tu porti sofferenza, tutto questo è opera tua!-
L’incappucciato afferra il dottore per il colletto della tunica e se lo porta a pochi centimetri dal volto. Ogni sua parola è un brivido di freddo lungo la schiena del dottore.
-Io non sono la peste! Non l’ho creata io, non porto il contagio! Io libero la gente dalle loro pene, io per loro sono l’unica cura.-
La figura spintona il dottore facendo cadere. Si rialza, mormora una scusa.
Il dottore si gratta il braccio, alza la manica, lo vede. Un bubbone virulento pulsa sul suo braccio...
-Capisco. E così è questo il motivo della nostra chiacchierata...-
La morte scuote la testa lentamente.
-No, dottore. La tua ora non è ancora giunta, ci rincontreremo presto.-
Il dottore srotola la manica, ricomincia a camminare verso il villaggio.
-Posso...aspettare.-
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